La lettura delle poesie di Isabella Boscolo propone la visione del mondo, solo in apparenza semplice e disincantata, di una bambina/donna che ha il dono (o la sfortuna, dipende dai punti di vista) di cogliere il senso della vita – al di là della sua apparente semplicità – nella sua reale tragica complessità esistenziale.
Tra tutte le parole / trovo predilezione / per quelle quotidiane… E’ la parola quotidiana, per Isabella Boscolo, la chiave per penetrare l’arcano segreto dell’esistenza, la sua irriducibile a-razionalità, il non-senso inspiegabile dei moti che animano la coscienza e tra i quali è unicamente l’amore, non mai platonico, ma carnale e passionale (l’amore che strappa i capelli, direbbe De Andrè) uno dei pochi sentimenti in grado di rendere il nostro vissuto degno di essere ricordato e rielaborato.
Intessuta di suggestivi echi di autori classici, soprattutto pascoliani (potremmo quasi dire che la poesia di Isabella Boscolo ripropone – al femminile – la tematica della fanciullina), la silloge “Feste Sconsacrate” è una implicita o esplicita rielaborazione delle cosiddette “feste”, ovvero dei momenti umani importanti dell’anno solare (il carnevale, l’Epifania, il due giugno, Natale, San Valentino, ecc.). Questi giorni della vita vengono da lei “sconsacrati”, ovvero privati del loro iniziale significato e utilizzati per intraprendere un viaggio nella propria psiche, nella propria identità profonda. La finalità di questa auto-analisi non è terapeutica, è questo un viaggio interiore con nessun altro scopo che riscoprire, cristallizzare sulla pagina scritta le proprie emozioni, la propria identità affettiva, le proprie ansie e le proprie gioie.
Il verso poetico di Isabella Boscolo ha una sua suggestiva levità, intessuto com’è di settenari dolcemente rimanti e assonanti, quasi una ninna-nanna in grado di rievocare l’essenza più intima del proprio essere femminile (e tu – dice – che fai? / niente, rispondo io / trascrivo del mio cuore / le cadenze, il ronzio). In Isabella Boscolo il settenario, metro solo apparentemente ingenuo, si anima di luce propria, illumina le parole più semplici della lingua italiana incarnandole di tragica sensualità, a volte ludica ma più spesso cupa, dolente, disincantata.
E in questa visione del mondo Isabella Boscolo, eterna bambina che non vuole o non può crescere, ma che fa continuamente trasparire dalla sua poesia una sensibilità affettiva di donna matura, ci propone la forza contraddittoria di versi che paiono uscire dall’alba della poesia, versi in grado di rivelarci la tragica bellezza della vita che nonostante tutto (così almeno pare farci intendere Isabella) merita comunque di essere ricordata e – per quel che avanza – ancora di più essere pienamente vissuta.
Renato Ornaghi
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