Anna Mallamo è la più grande scrittrice siciliana vivente.
Glielo dico con sincera convinzione: sei la più grande scrittrice siciliana vivente. Ma lei, messinese d’adozione, ribatte che è nata a Reggio Calabria.
Anna Mallamo non ama parlare dei suoi poemi in prosa e dei suoi racconti. Quando il lettore entusiasta tenta di interrogarla sulla sua felice ispirazione (perché la sua è innanzitutto una scrittura felice, in cui il piacere di raccontare si dilata nella gioia del favoleggiare), lei appare evasiva, impaziente. Occasionalmente le càpita di ammettere che la scrittura è per lei come una febbre terzana: ogni tre giorni deve assolutamente scrivere: un racconto, un onirogramma, una canto del suo poema frammentario (che appare sempre meno frammentario, via via che la lettura procede); ma di solito non le piace che si parli della cosa. Ha l’aria di non voler figurare come autrice dei suoi testi, di non volersene assumere la responsabilità, la maternità. Nei testi stessi non è ben chiaro chi scrive, di chi è quello sguardo incantato, chi riferisce di quelle visioni. Ogni tanto dice “io”, ma il più delle volte l’“io” non è quello di una narrazione in prima persona, per quanto anche l’autobiografia sia presente per scorci allucinati, maschera mutevole e fantasmagorica in una splendida féerie: dietro quell’ “io” il lettore avverte la presenza di una pluralità di soggetti. Non è lei a scrivere, a cantare (neppure quando scrive le pagine di un doloroso diario), ma gli avi, i lari, il mare, gli dèi, le case che muoiono, i segreti che le case custodiscono, i pesci veri, i pesci dipinti, Dioniso in sembianze di lupo, Horus dalla testa di falco, il mare femmina, l’angelo della morte: e tutto precipita in un incantato catalogo di sontuosi relitti da salvare dalla dispersione e dalla rovina: reperti con cui comporre significazioni e da far rivivere in un gioco felice di citazioni, parafrasi colte, mormorazioni ecolaliche, stupori infantili, cataloghi di figurazioni poetiche, nomi che evocano altri nomi, che evocano altri nomi…
Anna Mallamo ha bisogno di fingersi, nell’atto creativo, posseduta da forze oscure. Ma la sua scrittura appassionata, barocca, visionaria, una scrittura che può permettersi picchi di solennità, di rapimento, di invasamento quasi, sorprendentemente risulta essere anche lucida, sorvegliata, nitida, sapiente nella costruzione e nel ritmo. L’inizio di ogni racconto è un rapido balzo in un “cerchio sacro”; e lì dentro, in quel cerchio, tutto è immediatamente trasfigurato: il paesaggio, le cose che sono, quelle che non sono più, quelle che vengono all’esistenza grazie al rito sacrale della scrittura che le evoca. Una tale visionarietà trasfigurante tuttavia non impedisce, a chi conosca i luoghi dove la scrittrice vive, di riconoscerli immediatamente. Anzi, essi appaiono ancora più riconoscibili in quei loro sontuosi simulacri, a volte scorporati da ogni contesto e smisurati, colti in una pensosa fissità da pittura metafisica.
L’ispirazione intermittente e imperiosa (la febbre terzana), l’immersione dionisiaca nel rito della scrittura – ma in feconda tensione con l’apollineo, con le suggestioni formali – suggerisce anche l’idea della pendolarità, dell’andata e ritorno da un luogo non lontano ma da lontanare e ritrovare. Tutti gli scrittori siciliani, e anche i quasi siciliani, non sfuggono al destino o al tema dell’esilio. E così pure Anna Mallamo, che va e viene dal luogo stregato della scrittura come il ferryboat da Messina a Villa San Giovanni. Anna si figura che l’altra sponda sia il luogo dove vive – o dove ha vissuto – un’altra Anna, un’ava, e prima ancora un’Anna ancestrale che in lei si è trasfusa Questa espansione del sé, cronologico e spaziale, accade durante il viaggio, dura il tempo dell’andata, e poi il tempo del ritorno. La scrittura avviene durante il tragitto, sulla nave che la traghetta in un altrove mitico. Privilegio concesso dagli dèi, quell’altrove è ad una breve, giusta distanza, al di là dello stretto che è lo spazio sacro della scrittura. Tra il luogo dove lei vive e il luogo da cui proviene passando per infinite generazioni, c’è lo stretto necessario, sulle cui acque antiche la scrittrice si augura che mai possa incombere un prosaico, orribile ponte di acciaio e cemento. “Ulisse non ci passerebbe mai, là sotto”, dice.
Anna Mallamo, sorprendentemente, è una scrittrice del tutto inedita (se si escludono numerose pubblicazioni in alcuni blog – molto frequentati – e siti letterari). A quanti auspicano che lei voglia trovarsi un buon editore (di libri cartacei) risponde che sulla terra grava già troppa carta stampata. Credo sia – realmente – l’idea del peso a non andarle a genio, come ogni genere di pesantezza e di consistenza; come i contorni soliti delle cose. Per questo ama scrivere in un blog. Eppure Anna Mallamo deve aver letto tanti libri! Tra le cose nominate, infatti, si riconoscono anche altre descrizioni di luoghi e fatti, poemi e antefatti del nuovo poema, luoghi anch’essi e linee di fuga in un disegno via via più coerente, convergenti verso quell’unico tratto di costa che diventa tutto il mare, un “mare femmina” e perciò buono, materno. Le storie di sirene e naufragi? Tutte da riscrivere – perché il mare non è nemico; e anche le onde anomale sono una stupefacente bugia. Come Scilla e Cariddi.
Giovanni Monasteri
Lascia un commento