Nota Redazionale
Eccezionalmente, pubblichiamo qui dei testi poetici già editi in versione cartacea (Neon Edizioni, 2020). In precedenza è capitato che avvenisse il contrario: alcune sillogi inizialmente apparse come e-book su Feaci Poesia sono stati poi pubblicati su carta.
“Viaggiatori”, di Piero Ristagno, in realtà consta di due sillogi: la prima, pubblicata nel 1990 (ed. I Girasoli di Angelo Scandurra), con una magnifica postfazione di Roberto Roversi; la seconda, confezionata nel 2020 insieme alla prima in un unico libro edito da Neon edizioni, con una prefazione di Patrizia Curatolo.
Non aggiungiamo nulla a quanto detto da Patrizia Curatolo e da Roberto Roversi, la cui postfazione può valere anche per la seconda parte di “Viaggiatori”; che infatti, nonostante sia stata scritta e sia apparsa dopo trent’anni, si presenta in prodigiosa continuità stilistica e tematica rispetto alla prima. Come se il tempo non fosse passato, il poeta ritrova quell’intonazione, quel ritmo, e numerosi fili da riannodare alla nuova, pur compatta tessitura. Roversi aveva previsto che il discorso non si sarebbe concluso, quando dice: “Ristagno raggiunge un approdo, forse soltanto momentaneo, in cui la sua collocazione fra realtà e immaginazione si è spostata e raffermata su alcune scelte determinanti di riflessioni e di vita.”
La navigazione, insomma, non poteva che proseguire.
Prefazione di Roberto Roversi
… infatti la pazienza della poesia ma anche per la poesia è forse uno degli ultimi privilegi non dico ancora concessi agli uomini che leggono ma piuttosto ancora difesi e da difendersi con ostinata responsabilità e convinzione da questi stessi lettori. E scrittori, se dio vuole. Che appunto, proprio perché partecipano di questo tortuoso svincolarsi dagli impacci frastornati del mondo, si dispongono e sono disposti a non lasciarsi sgomentare da niente; ma neanche a lasciarsi coinvolgere e travolgere e sommariamente persuadere da niente (che non abbia il peso giusto della buona convinzione). Potessi permettermi una metafora, come cercatori d’oro in luoghi disastrati coi piedi a mollo, il setaccio in mano, la schiena ricurva (talvolta dolente) a setacciare sassi e sabbia, acqua e fango, acqua e acqua in attesa del più piccolo frammento che sbrilluccichi come un sole. Sia esso d’oro.
Intesa così la buona disposizione di lettura, torno su queste pagine e su questi testi (conosciuti mentre si facevano e si svolgevano e si inseguivano ricomponendosi) con la voglia (non essendoci altre necessità) di trascrivere per l’autore, confermandogli il buon risultato conseguito, la linea di movimento che ho colto rapportando e avvicinando questo gruppo di testi ai suoi precedenti da me letti in varie occasioni.
La voglia di raccontare una tensione in movimento mi pareva allora prevalere in assoluto. E in questa tensione si raccoglievano — addensandosi come nugoli di una probabile tempesta — il dubbio costante per sé e fuori di sé, l’incertezza nel rinvenire o anche nell’adocchiare un qualche utile e costante appiglio esistenziale; quindi il continuo ribollire di insoddisfazione acre, quasi urlata, e un umore cupo che appena appena si scioglieva dentro lacerazioni di violente immaginazioni. Piccole continue folgorazioni di fantasia, tali da riscattare la opacità di un quotidiano che sembrava concluso in una ripetizione inesorabile. Quasi inesorabile. Quasi; perché la apertura minima ma salvifica alla fine, che consentiva di non dannarsi per sempre dentro a umori conclusi, era una forza interna, una volontà tenace che resisteva, per non spezzare in modo definitivo, totale, il rapporto finale con le cose; con il mondo; con la realtà che è vita. Insomma, era come una leva che bruciava tutto ciò che era d’ intorno, ma in un paesaggio aperto, in cui al di là del fuoco e del fumo si percepiva, perché resisteva, la vita che ancora viveva; la vita che non era ancora morte. Quella forza consentiva ai testi di rimpolparsi di una vitalità immaginativa certamente determinante e anche — come dire? — intemperante in quanto sempre inquieta; in continui soprassalti, che disorientavano utilmente il lettore.
Oggi, proseguendo, Ristagno raggiunge un approdo, forse soltanto momentaneo, in cui la sua collocazione fra realtà e immaginazione, si è spostata e raffermata su alcune scelte determinanti di riflessioni e di vita. Il dramma dell’immaginazione è adesso sostituito o ampiamente integrato dal dramma della interrogazione. Questi testi si leggono infatti come una domanda costante, che intende piuttosto inviluppare il lettore che scoprire inquietudini riflessive dell’autore. La domanda è sollecitazione non solo a scrivere (alla necessità della scrittura) ma a vivere; ed è domanda che si riferisce soprattutto alle cose da fare e a come fare per affrontarle; e quindi per disporsi ad affrontare, nello sconcerto del mondo, la propria vita. Non è più in atto la grande generale inquietudine esistenziale, ma il sofferto personale incontro/scontro con gli obblighi dell’esistere; con l’enunciazione degli obiettivi a cui affidarsi o con cui scontrarsi.
Mi sembra una poesia di convinzione, questa; un’opera maturata dopo dura ricerca personale, scavando e scavandosi. Che propone anche una sorta di drammatica leggerezza; di coinvolgente fruibilità, nel continuo rifluire di messaggi ognuno dei quali tende a lanciare un uncino al lettore. Una tavola a cui aggrapparsi, dato che alla stessa tavola è aggrappato anche l’autore. E’ la tabelle riepilogativa di un dettato che consente di decifrare come determinante la considerazione che tutto è ancora possibile salvare se si sta bene sulle cose; valutandole, percependole, capendole.
Con la pazienza inquieta di cui ho parlato all’inizio. Un verso, fra i tanti: “solo i pesci più anziani sfuggono alla lampara”. Non solo nei mari siciliani ma nei mari di tutto il mondo. Se anzianità significa soltanto la forza, la voglia di resistere, di durare e contrastare; di valutare i pericoli con occhi che non si chiudono…
Intesa così la buona disposizione di lettura, torno su queste pagine e su questi testi (conosciuti mentre si facevano e si svolgevano e si inseguivano ricomponendosi) con la voglia (non essendoci altre necessità) di trascrivere per l’autore, confermandogli il buon risultato conseguito, la linea di movimento che ho colto rapportando e avvicinando questo gruppo di testi ai suoi precedenti da me letti in varie occasioni.
La voglia di raccontare una tensione in movimento mi pareva allora prevalere in assoluto. E in questa tensione si raccoglievano — addensandosi come nugoli di una probabile tempesta — il dubbio costante per sé e fuori di sé, l’incertezza nel rinvenire o anche nell’adocchiare un qualche utile e costante appiglio esistenziale; quindi il continuo ribollire di insoddisfazione acre, quasi urlata, e un umore cupo che appena appena si scioglieva dentro lacerazioni di violente immaginazioni. Piccole continue folgorazioni di fantasia, tali da riscattare la opacità di un quotidiano che sembrava concluso in una ripetizione inesorabile. Quasi inesorabile. Quasi; perché la apertura minima ma salvifica alla fine, che consentiva di non dannarsi per sempre dentro a umori conclusi, era una forza interna, una volontà tenace che resisteva, per non spezzare in modo definitivo, totale, il rapporto finale con le cose; con il mondo; con la realtà che è vita. Insomma, era come una leva che bruciava tutto ciò che era d’ intorno, ma in un paesaggio aperto, in cui al di là del fuoco e del fumo si percepiva, perché resisteva, la vita che ancora viveva; la vita che non era ancora morte. Quella forza consentiva ai testi di rimpolparsi di una vitalità immaginativa certamente determinante e anche — come dire? — intemperante in quanto sempre inquieta; in continui soprassalti, che disorientavano utilmente il lettore.
Oggi, proseguendo, Ristagno raggiunge un approdo, forse soltanto momentaneo, in cui la sua collocazione fra realtà e immaginazione, si è spostata e raffermata su alcune scelte determinanti di riflessioni e di vita. Il dramma dell’immaginazione è adesso sostituito o ampiamente integrato dal dramma della interrogazione. Questi testi si leggono infatti come una domanda costante, che intende piuttosto inviluppare il lettore che scoprire inquietudini riflessive dell’autore. La domanda è sollecitazione non solo a scrivere (alla necessità della scrittura) ma a vivere; ed è domanda che si riferisce soprattutto alle cose da fare e a come fare per affrontarle; e quindi per disporsi ad affrontare, nello sconcerto del mondo, la propria vita. Non è più in atto la grande generale inquietudine esistenziale, ma il sofferto personale incontro/scontro con gli obblighi dell’esistere; con l’enunciazione degli obiettivi a cui affidarsi o con cui scontrarsi.
Mi sembra una poesia di convinzione, questa; un’opera maturata dopo dura ricerca personale, scavando e scavandosi. Che propone anche una sorta di drammatica leggerezza; di coinvolgente fruibilità, nel continuo rifluire di messaggi ognuno dei quali tende a lanciare un uncino al lettore. Una tavola a cui aggrapparsi, dato che alla stessa tavola è aggrappato anche l’autore. E’ la tabelle riepilogativa di un dettato che consente di decifrare come determinante la considerazione che tutto è ancora possibile salvare se si sta bene sulle cose; valutandole, percependole, capendole.
Con la pazienza inquieta di cui ho parlato all’inizio. Un verso, fra i tanti: “solo i pesci più anziani sfuggono alla lampara”. Non solo nei mari siciliani ma nei mari di tutto il mondo. Se anzianità significa soltanto la forza, la voglia di resistere, di durare e contrastare; di valutare i pericoli con occhi che non si chiudono…
Roberto Roversi
L’edizione cartacea di “Viaggiatori” può essere acquistata scrivendo a Neon Edizioni.
Francesca P. says
Non ho letto tutto, ma l’ho scaricato e penso che lo leggerò.
E’ una poesia molto densa, bisogna entrarci a poco a poco e insistere a starci dentro.
Piero Ristagno says
Francesca, ti ci puoi anche tuffare dentro e nuotarci allegramente. Grazie!
Nicoletta says
Bello, ho dato una scorsa. Da approfondire. Mi pare costante nello stile, potrebbe essere un poemetto, non una raccolta di poesie.
Piero Ristagno says
Infatti, Nicoletta, non è una raccolta di poesie.Grazie!
Piero Ristagno says
Un commento ci vuole, non perché necessario ma per buona creanza. Mi meraviglia la forma della composizione dei testi che mi ha lasciato come in una sospensione alchemica, sempre in via di altra, migliore, definizione. Ma, alla fine, l’amalgama è indefinibile, e, felice scoperta, non ha alcuna necessità di definizione ultima. Tant’è che passano trent’anni e Viaggiatori siamo rimasti, con le parole che fanno capriole e giravolte, e versi che cercano righe da segnare.
Giovanni Monasteri che pubblica il tutto ne I FEACI non lo ringrazio, sarebbe cosa solita e un po’ scontata. Ne ho così alta stima che dire ‘grazie’ è veramente poca cosa. Ecco, manca la parola!
Giovanni Monasteri says
Essendo stato chiamato in causa…
Innanzitutto vorrei avvisare che i commenti non appaiono subito, se non vengono da me vagliati e autorizzati.
@Francesca P., olre che “densi” definirei “intensi” questi testi poetici. La densità è data dall’asciuttezza della scrittura e dalla polisemia delle metafore, a mio avviso ponderata, intenzionale; l’intensità dal come i versi suonano e risuonano già a una prima lettura. I versi comunque necessitano – come dici tu – di insistere e “starci dentro”, cioè di attenzione, forse anche di una rilettura.
@Nicoletta, In effetti anch’io sono tentato di definire poemetti le due parti di cui il libro è composto, proprio perché – come noti tu – la voce, l’intonazione non cambiano. Quel puntiglioso ribadire, insistere, dichiarare, formulare propositi che a volte “cadono” come delle folgorazioni, si mantiene costante in tutta l’opera, che infine è compatta come un monolite d’alabastro (ma segnato da mille screziature).
@Piero, sono io che ti ringrazio. E’ la prima volta che Feaci pubblica un e-boock già pubblicato su carta. E con una postfazione di Roversi!
Se ho capito bene l’indefinibilità dell’ “amalgama” e la “sospensione” alchemica… Sì, può darsi che tu abbia avuto l’impressione di scrivere in uno stato di grazia (quasi uno stato di trance), ritrovato dopo trent’anni, ma io penso che tu abbia anche, o soprattutto, lavorato sodo per trovare gli incastri giusti tra ogni verso e il successivo, le parole giuste, e per mantenere quell’intonazione. Ispirazione, sì, ma anche (come qualcuno ha detto) traspirazione.