Note redazionali
Quella che viene qui presentata, con un titolo che sormonta sottotitolo, esergo e sommarie indicazioni sul genere letterario, è una delle tante versioni di un’opera in continuo rifacimento. Dario Maguolo ce le invia in visione una dopo l’altra esitandole per definitive, o credendole tali per un momento, ma poi riprende a smontare, rimontare, arricchire, espungere.
Nella sua forma integrale l’opera attualmente presenta il titolo “Lucidæ Rupes Ripida Saxa”: anche questo provvisorio, supponiamo. Si tratta, con tutta evidenza, di un opus perpetuum, di un cantiere aperto che forse aspira a restare tale, o a venire di continuo riproposto nel suo mutare incessante. E sarebbe un cantiere babelico, non fosse che l’ossatura della torre, malgrado la mutevolezza dell’edificio apparente, si indovina solida e ben progettata.
In questo cantiere la voce dell’autore è una tra tante, s’impasta con altre voci (di scrittori e poeti notissimi o meno noti, di salmisti, evangelisti, apostoli e di cantanti pop e rock; di giornalisti, geologi, ingegneri e altro ancora). Ne risulta un dialogo complesso, fitto di echi e rimandi, in prevalenza colti.
In questa ultima versione (o, per meglio dire, in questa riduzione, o florilegio, ad usum dei feaci) viene quasi del tutto espunto ciò che caratterizza le “versioni” da noi lette in precedenza: le citazioni. Ma è improprio chiamarle citazioni. Si tratta, infatti, di trascrizioni o traduzioni ritmiche e orientate al contesto di interi brani delle opere saccheggiate.
Non sappiamo bene a che punto della laboriosissima evoluzione siano intervenuti gli “appunti per una prefazione” di Annalisa Busato (qui di seguito). È verosimile che essi si riferiscano all’opera maior. I riferimenti del prefatore alle citazioni, comprese quelle assenti nella riduzione, valgano comunque a rendere più leggibile ciò che, nella “Lucrezia svelata”, appare in filigrana.
Ma è poi sicuro che “Il fiore di Lucidæ Rupes” non costituisca un approdo definitivo, dato che, al momento, non sono giunte altre notizie da Babele? Ad ogni modo, qui viene promesso uno svelamento, e di certo appaiono delle rivelazioni su un personaggio chiave dell’opera: Elena Lucrezia Cornaro Piscopia. Di questa Lucrezia dai molti nomi e dalle molte vite, perlomeno, viene rivelato… l’indirizzo e-mail.
G. M.
Appunti per una prefazione
Ecco un lavoro poetico che aspira a farsi cosa diversa: teatro, cinema, outline per un concerto; o comunque a darsi un abito proteiforme. È un torrente impetuoso di ispirazione, un fluttuare di frammenti di prosa e poesia, ma, grazie alla sapienza compositiva dell’autore, tout se tient.
Da un lato, l’opera appare come una lucida e rigorosa operazione di metascrittura; dall’altro stupisce, o vuole stupire, per la sua disinvoltura. Il suggerimento è quello di non lasciarsi scoraggiare dai molti rimandi interni, ma di farsi trascinare dalla scrittura torrentizia e saltellante, che pur di scendere a valle, come è inevitabile che accada, scavalca e travolge, trascina con sé materiali disparati, scava il proprio alveo in quella totale e felice provvisorietà che contraddistingue ogni torrente.
Acqua viva e preziosa, violenta e pericolosa quanto il temuto passaggio di un angelo sterminatore. L’autore elenca fatti, protagonisti, deus ex machina e dee con ago e forbici. Sedici personaggi (quindici voci e un video) giocano al tiro a segno: tra essi emergono Dark / Roxy Waters e la Madre, Lucrezia e Carmen, Tina, l’Ingegnere e l’Orco delle Montagne.
Il mix di poesia originale e citazioni poetiche corrisponde al desiderio di superare un ostacolo: tutto è già stato detto, e bene, dai grandi poeti. Bisogna allora dislocare i testi di questi grandi, impastarli con altre parole, sottrarli alla loro perfezione definitiva, farli agire in nuovi contesti, in un certo senso sconsacrarli. Per realizzare questo déplacement, occorre innalzarsi all’altezza di quei classici, o almeno mimare, con leggerezza ma con serietà, un adeguamento della propria voce a quelle degli autori coinvolti nella scena. Anche l’uso (un po’ macaronico) del latino, approssimativamente lirico o di chiesa, potrà servire a questo arduo scopo.
O forse qualcosa, pure importante, ma non così terribilmente totalizzante, è stato detto da poeti, grandi o piccoli, ma anche da geotecnici e ingegneri, giornalisti, apostoli e evangelisti… tutti un po’ classici, perché fanno parte della nostra infanzia/adolescenza, dei nostri ricordi, tormentoni, ossessioni dell’età adulta. Sono punti di partenza, codici di riferimento per un viaggio (un’ambigua rinascita, o un permanere nella morte) dell’io forse distrutto, o semidistrutto, da un’ondata precoce di troppa, o mal comunicata, autorità. Fibre di parole che si ritroveranno anche fuori da questa confluenza, probabilmente con sensi diversi, stravolti, ma non per un desiderio di irriverenza. Quando vengono alla mente, questi testi sono già immersi nel flusso della realtà, e da questa corruzione emergono.
Il risultato non è, ovviamente, una silloge di poesia (sebbene non manchino ottimi spunti di poesia di produzione propria). Non è lirica, ma uno spartito con orchestrazione, scena, costumi e più muse recitanti. È un’opera lirica, ma senza il palco ottocentesco e il sipario di velluto.
Montale e Ungaretti, Foscolo, Leopardi, ma non solo loro, sono invocati e coinvolti nell’opera con rispetto e con affetto. La Scrittura altrui è apertamente accolta e diffusamente trascritta (più che citata). È omaggio, e insieme pedaggio per un percorso nuovo. Alle citazioni si affianca e fa da contrappunto un felice gioco di riscrittura, un pastiche di parole proprie che entrano in risonanza con quelle dei maestri. La ridda di voci (e di lingue) non si ferma ai poeti, ma coinvolge generi e versanti artistici diversi. In questo potpourri, Orme PFM Pooh Pink Floyd Montale Brontë e fantascienza rischiano forse la reciproca distruzione? E innestare in questo frankenstein letterario persino un gioco di narrativa fantascientifica, è forse irriverente? Niente affatto! La fantascienza tratta di questioni etiche serie (il bene contro il male, per esempio), e nel mondo di Matrix prosegue la disputa sul problema ontologico, con licenza di Platone e dei padri della chiesa. Qui a dibattere e disputare sono un Ingegnere, Tina Merlin, un Dio vuoto, o forse morto.
La mistura è gradevole e inquietante insieme. Vi si avverte un’energia inquieta, una passione vivificatrice rivolta alla letteratura, che viene chiamata a non restare lettera morta.
A suo modo, il coinvolgimento dei classici rivela un modo di leggere dionisiaco, partecipe, attivo. La lettura scatena il gusto dell’emulazione, della riscrittura e del mosaico. Dario Maguolo compone un’opera intrecciando brani di scrittura dei propri padri/madri e fratelli/sorelle maggiori: un po’ come la scultrice Louise Bourgeois, che in una mostra a Venezia ai Magazzini del Sale, ha proposto indimenticabili opere realizzate unendo in forme nuove le stoffe ritagliate dagli abiti della propria madre.
E a proposito di madri e padri, un’attenzione particolare meritano, forse, le pagine in cui compare la misteriosa triade madre-padre-figlio chiusa in una scatola. Lì è un nodo interiore di relazioni patriarcali e matriarcali inabissate, contorte, di rapporti di potere che intralciano l’amore e generano malessere. Difficile entrare in quella scatola, e difficile non entrarci, non avvertire delle consonanze. Ma tant’è, vi si nasce dentro: per questo non la vediamo. Nuova aria porta invece il lungo dialogo tra Lyricus Puer e Lyrica Puella: “… un mucchietto di terra / di storie e di favole / per dare sostegno / e nutrimento / al nuovo fiorire / della forza creatrice / che stai ritrovando / dentro di te….”
Nel labirinto del linguaggio primario del sogno e del vaticinio, possiamo farci guidare da alcune parole chiave: universo e corpo, luna e sole, psicodramma – intertestualità – storia e storie.
De ingredientis undae tibi natura et curvatura aquae novaque narrabo architectura. È un sottotitolo dell’opera maior di cui questa, come detto sopra, è una sorta di anteprima. Potrà essere mantenuta l’altisonante promessa?
Leonardo da Vinci riempie le pagine del Codice Atlantico con studi del moto delle onde (esattamente de natura et curvatura), che con movimenti sinuosi e ricorsivi ammaliano chiunque guardi la risacca. Le onde diventano capelli ondulati, riccioli della creatura da lui amata di un interminabile e oscuro amore: il Salaìn, “né uomo né donna, né fedele né infedele”, che il grande artista usò come modello in quasi tutta la sua produzione (è Salaìn Sant’Anna, è lui la Gioconda, sono di lui ritratti di ricciuti angeli e di villose meretrici). Ma che importa, dato il livello di ciascun risultato?
Analogamente, la lettura di questa anteprima di Rupes mette in moto slittamenti e ondeggiamenti di connotazioni, scivola di segno in segno, a volte salta perigliosamente. Slittamenti, sommovimenti, cataclismi che, più che i due generi, femminile e maschile, riguardano gli elementi naturali: acqua, aria, terra, fuoco. E nel contempo (infatti lo scorrere e il trasformarsi della libido viene esposto da Freud mediante la nota “metafora idraulica”) riguarda l’impetuoso scorrere di emozioni e passioni.
Il tutto reggerà? Non reggerà? L’impeto farà franare la complicata architettura?
Comunque il finale, con Dark in crisi di crescita, preannuncia un sequel.
Estote parati.
Annalisa Busato
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