Albedo, rubedo: parole che designano due fasi di quell’opera alchemica che può magicamente trasformare la materia in oro. Il tema è la trasformazione, dunque, in questo poemetto così criptico e semplice al tempo stesso.
Dalla Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve putrefacendosi, si passa all’Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi; e finalmente si giunge allo stadio finale della Rubedo o opera al rosso, in cui ogni frammento si ricompone, fissandosi in un nuovo, prezioso equilibrio degli elementi.
Attraverso le tre operazioni la “materia prima”, mescolata con lo zolfo e il mercurio, e scaldata nella fornace (atanor), si trasforma gradualmente in oro, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione. L’atanor, qui, è la poesia stessa; perlomeno, il poeta getta nel suo personale atanor una grande varietà di emblemi. Hieroglyphica significa appunto emblema, immagine simbolica e parola-segno.
Che significato ha l’opera alchemica, sembra chiedersi Paiano, se nel crogiuolo ci siamo noi, in carne ed ossa, la nostra umanità e il nostro carico di sofferenze? E cosa accade alla materia del canto, al canto stesso, se il poeta tenta di inseguire, di dire questa trasformazione? Accade che la scrittura diventa un susseguirsi di fulminee immagini oniriche, che palpitano per un attimo davanti ai nostri occhi e subito si dissolvono in nuove e incalzanti apparizioni. La trasmutazione avviene nella scrittura, la scrittura stessa è l’opus alchemicum.
Il ricorso all’alchimia rende plausibile la presenza, nell’opera, di un melange di temi e suggestioni liriche. Ma il miscuglio ha anche un’intenzione sperimentale: si vogliono saggiare le possibilità musicali di accostamenti inusuali, si lavora alla produzione, apparentemente casuale, di assonanze e dissonanze, musicali e di senso. In questa ricerca Paiano dialoga con l’amico musicista Mauro Tre, il quale, a sua volta, trova un’illustre ascendenza nel lavoro di frontiera dell’artista Michelangelo Pistoletto.
L’opera si apre con un risveglio: è il risveglio dell’anima che vive dentro ad ogni uomo, del femminile che dimora in ogni creatura di genere maschile. Come Jung ci spiega, viene il momento, nell’adolescenza, o nella giovinezza, o in momenti critici dell’età matura, in cui questa anima si rivela, e non sempre in sembiante gradevole e rassicurante. A volte l’anima prorompe in maschere, demoni, miraggi, si rivela come una forza più distruttiva che costruttiva. In molte delle immagini che trascorrono nel poemetto con sorprendente fluidità sembra di poter cogliere le innumerevoli pose in cui il femminile tenta, seduce, ferisce, pietrifica, appaga-respinge, abbraccia-divide, turbando ogni equilibrio prima sperimentato. E’ temibile e magnifico, essere di nuovo presi e rinnovati dall’eros. Di fronte al maestoso fluire del femminile, il Maschile è “foglia caduta dal ramo scosso”, scrive Paiano.
Dopo il risveglio dell’anima, nell’opera al rosso (rubedo), ogni cosa viene purificata e brucia nel crogiolo che trasforma e rinnova: si sfaldano e si ricreano rinnovati stereotipi, pose, “asana”…
Terribile ed esaltante, il rinnovamento. Un immenso, alto falò, un fuoco mercuriale spazza via ogni immagine di sé precedentemente sperimentata. Anche il linguaggio poetico brucia dello stesso fuoco, annientando ogni rassicurante dicibilità. Insieme alle forme metriche, anche i nessi sintattici ne vengono sconvolti, e il poeta, proprio mentre tenta di raccontare il cambiamento, si ritrova a dover dar forma e direzione a parole che sfuggono al suo dominio come lava fusa. Bruciano le esistenze passate, nuovi equilibri e relazioni si sostituiscono ai vecchi, e tutto diventa nuovo e inaudito, anche il passato. Ma la grande opera infine si compie, finché, faticosamente, il poeta può giungere a dire: “Canto il tuo canto, sorella”.
Si può cantare insieme, animus e anima pacificati, se si è attraversato il fuoco, se si è acquisita la consapevolezza del pulsare della vita che può serenamente trascorre tra tutto e nulla, tra forma e vuoto – un vuoto che è presenza e assenza: tutte queste contraddizioni si risolvono nel mysterium coniunctionis. Nella fase ultima dell’opera (alchemica, linguistica, esistenziale) ecco infine il prezioso bene cercato: l’oro, perché d’oro è il silenzio, sereno e condiviso.
Annalisa Busato
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