È tanto fondata nel vivere e nell’aver vissuto, la poesia di Lino Di Gianni, da sembrare di volta in volta una panchina, un banco del mercato, oscillante fra stoffe e pesci, un’aula o una cucina, dove basta uno strofinaccio pulito per fare tavola e tovaglia.
Una casa, soprattutto.
Perché, lì, gli spazi si contraggono, fino a tener vicini i tempi e le presenze.
Perché, lì, gli oggetti si prestano i fumi e i pensieri: in forma d’immagine pellegrina che fa dire, altrove, di occhi,/ caldi/ come patate cotte sotto la cenere.
Perché, lì, i viaggi scelgono la forma e hanno lunghezze e transiti d’amore: tavola, divano letto.
Leggere la poesia di Lino Di Gianni, allora, trova il senso e la via dei gesti quotidiani: come tagliare il pane, incontrare il suo interno forzandone passaggi/ le difese.
Si esce puliti e leggeri: niente è in vendita, niente appare.
Dentro le piccole vite nelle casseruole, la parola trova un nitore essenziale. La sua verità.
Zena Roncada
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