Quaderno di brutta copia si presenta come un corpus integrale di liriche d’amore. I testi tendono ad una traduzione letteraria di materiale autobiografico ancora incandescente e non del tutto sedimentato, ma si arrendono poi a un intrinseco bisogno di sincerità. C’è come una divaricazione tra l’intenzione (letteraria) e il farsi della scrittura. L’assunzione di modelli classici (Catullo innanzitutto) tradisce l’intenzione di raffreddare quel materiale, traducendo ironicamente il vissuto in fatto letterario, ma la trasposizione del dato biografico negli stilemi catulliani, se può sembrare congeniale al poeta e a questo genere di scrittura, non risulta affatto semplice. L’esperienza vissuta sembra infatti resistere a ogni pretesa salvifica e/o consolatoria di codificazione e interpretazione, a ogni riduzione in “bella copia”, tanto che, in definitiva, i versi brevi di Mario Chinellato dichiarano scopertamente la loro natura di diario privato, e di intimo e a tratti risentito colloquio con la donna amata e assente.
Un severo e dichiarato ostracismo ai toni gridati, e il ricorso a una pronuncia pacata ma non pacificata (sebbene non manchino punte espressive di un qualche vigore), smorzano il discorso accesamente sentimentale, confinandolo in un’aura di sommessa elegia.
Il poeta consegna ai lettori un “quaderno di brutta copia” che vuole essere integralmente tale, limitando il lavoro di revisione all’aspetto formale. Anche i labirintici tratteggi sulle pagine, che compongono eleganti disegni astratti, vengono proposti come parte essenziale del testo, e insieme a questo testimoniano di un peregrinare tortuoso dell’anima nei propri indistricabili assilli.
G. M.
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